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date per le vicherìe; e domattina all’alba pugnate contro
a’ vostri adversari». Il podestà non mandò la sua famiglia
a casa il malfattore: né il gonfaloniere della giustizia non
si mosse a punire il malificio, perché avea tenpo X dì.
Mandossi per le vicherìe. E vennono, e spiegorono le
bandiere: e poi nascosamente n’andorono dal lato di
Parte nera, e al Comune non si appresentorono. Non fu
chi confortasse la gente che si accogliesse al palagio de’
signori, quantunque il gonfalone della giustizia fusse alle
finestre. Trassonvi i soldati, che non erano corrotti, e al-
tre genti: i quali, stando armati al palagio, erano alquan-
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to seguiti. Altri cittadini ancora vi trassono a piè e a ca-
vallo, amici; e alcuni nimici, per vedere che effetto aves-
sono le cose.
I signori, non usi a guerra, occupati da molti che vo-
leano esser uditi: e in poco stante si fe’ notte. Il podestà
non vi mandò sua famiglia, né non si armò: lasciò l’ufi-
cio suo a’ priori; ché potea andare alla casa de’ malfatto-
ri con arme, con fuoco e con ferri. La raunata gente non
consigliò. Messer Schiatta Cancellieri capitano non si fe-
ce innanzi a operare e a contastare a’ nimici, perché era
uomo più atto a riposo e a pace che a guerra; con tutto
che per li volgare si dicesse, che si dié vanto d’uccidere
messer Carlo: ma non fu vero.
Venuta la notte, la gente si cominciò a partire; e le lo-
ro case afforzorono con asserragliare le vie con legname,
acciò che trascorrere non potesse la gente.
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Pratiche di conciliazione fra potenti famiglie di Parte biance e
di Parte nera: come questo fatto noccia ai Bianchi (...primi di
novembre).
Messer Manetto Scali (nel quale la Parte bianca avea
gran fidanza, perché era potente d’amici e di séguito)
cominciò afforzare il suo palagio, e fecevi edificii da git-
tar pietre. Li Spini aveano il loro palazo grande incontro
al suo, e eransi proveduti esser forti: perché sapeano be-
ne che quivi era bisogno riparare, per la gran potenzia
che si stimava della casa degli Scali.
Infra il detto tempo cominciorono le dette parti a usa-
re nuova malizia, ché tra loro usavano parole amichevo-
li. Li Spini diceano alli Scali: «De’, perchè facciamo noi
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Dino Compagni - Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi
così? Noi siamo pure amici e parenti, e tutti Guelfi: noi
non abiamo altra intenzione che di levarci la catena di
collo che tiene il popolo a voi e a noi; e saremo maggiori
che noi non siamo. Mercè, per Dio; siamo una cosa, co-
me noi dovemo essere». E così feciono i Buondalmonti
a’ Gherardini, e i Bardi a’ Mozi, e messer Rosso dalla
Tosa al Baschiera suo consorto: e così feciono molti al-
tri. Quelli che riceveano tali parole, s’ammollavano nel
cuore per piatà della parte: onde i loro seguaci inviliro-
no; i Ghibellini, credendo con si fatta vista esser ingan-
nati e traditi da coloro in cui si confidavano, tutti rima-
sono smarriti. Si che poca gente rimase fuori, altro che
alcuni artigiani, a cui commisono la guardia.
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Carlo chiede alla Signoria la guardia della terra e delle porte: la
quale, per Oltrarno, gli è, però senza le chiavi, concessa. Sua
malafede. Ritorno degli sbanditi, e violenza de’ Tornaquinci.
Smarrimento della Signoria (...5 novembre e notte seguente).
I baroni di messer Carlo e il malvagio cavaliere mes-
ser Muciatto Franzesi sempre stavano intorno a’ signori,
dicendo che la guardia della terra e delle porti si lascias-
se a loro, e spezialmente del sesto d’Oltrarno; e che al
loro signore aspettava la guardia di quel sesto: e che vo-
lea che de’ malfattori si facesse aspra giustizia. E sotto
questo nascondeano la loro malizia; per acquistare più
giuridizione nella terra il faceano.
Le chiavi gli furono negate, e le porti d’Oltrarno li fu-
rono raccomandate; e levati ne furono i Fiorentini, e fu-
ronvi messi i Franciosi. E messer Guiglielmo cancelliere
e ’l maniscalco di messer Carlo giurorono nella mani a
me Dino, ricevente per lo Comune, e dieronmi la fede
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Dino Compagni - Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi
del loro signore, che ricevea la guardia della terra sopra
sé, e guardarla e tenerla a pitizione della nostra signoria.
E mai credetti che uno tanto signore, e della casa reale
di Francia, rompesse la sua fede: perché passò piccola
parte della seguente notte, che per la porta, che noi gli
demo in guardia, dié l’entrata a Gherarduccio Bondal-
monti, che avea bando, accompagnato con molti altri
sbanditi.
I signori domandati da uno valente popolano, che
avea nome Aglione di Giova Aglioni, e disse: «Signori e’
sarà bene a fare rifermare più forte la porta a San Bran-
cazio». Fulli risposto, che la facesse fortificare come li
paresse; e mandoronvi i maestri con la loro bandiera. I
Tornaquinci, potente schiatta, i quali erano bene guerni-
ti di masnadieri e d’amici, assalirono i detti maestri e fe-
dironli e missonli in rotta; e alcuni fanti, che erano nelle
torri, per paura l’abbandonorono. Laonde i priori, per
l’una novella e per l’altra, vidono che riparare non vi po-
teano. E questo seppono da uno che fu preso una notte,
il quale, in forma d’uno venditore di spezie, andava invi-
tando le case potenti, avisandoli che innanzi giorno si
dovessono armare. E così tutta loro speranza venne me-
no; e diliberorono, quando i villani fussono venuti in lo-
ro soccorso, prendere la difesa. Ma ciò venne fallito: ché
i malvagi villani gli abbandonarono, e le loro insegne ce-
lavano spiccandole dall’asti; e i loro famigli li tradirono;
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