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Ci inoltrammo, lasciando a destra la strada principale, per strade polverose, mentre
il sole scendeva verso l'orizzonte. Parlavamo pochissimo, Kitty cullava Alice, le par-
lava per distrarla, per farle dimenticare la tragica scena alla quale aveva dovuto assi-
stere. Ci fermammo per mangiare soltanto quando fu buio. Poi, ripartimmo.
Il lago Ontario si stendeva, quieto, sotto il chiaro di luna, una scia di luce argentea
fremeva sulla sua superficie scura. S'udivano le onde battere contro le rive, e il cielo
maestoso era pieno di stelle.
«Conosco bene questa regione» dissi. «Ci sono, lungo le rive, villaggi e cittadine,
che erano in altri tempi posti di villeggiatura. Ci deve essere, piuttosto lontano da qui,
un circolo nautico.»
Arrivammo ben presto a un gruppo di case che aveva un aspetto veramente grazio-
so: villini seminascosti nel verde, e grandi prati. Poche finestre erano illuminate. Il
tempo delle villeggiature era finito, tuttavia dovevano esserci degli abitanti stabili. Ci
fermammo su una banchina e smontammo felici di poterci sgranchire le gambe. Io
avevo i muscoli irrigiditi.
Alcuni natanti erano ormeggiati lungo la banchina. Scelsi quella che mi pareva
l'imbarcazione migliore: un piccolo yacht dalla sagoma elegante, di cui il proprieta-
rio, se era ancora vivo, doveva andarne fiero. Mentalmente gli feci le mie scuse.
Mentre Regelin e Kitty trasportavano a bordo i nostri bagagli, io condussi la nostra
camionetta in un punto della riva che avevo già adocchiato. Mi fermai di fronte al la-
go, poi accesi il motore, ingranai la marcia, e mi allontanai. Vi fu un tonfo sordo e
qualche ondata di riflusso. Ritornai dai miei compagni e saltai a bordo dello yacht,
del quale Regelin aveva già issato le vele. Pensavo che quel cambiamento di mezzo
di locomozione potesse sviare coloro che ci inseguivano. Anche ammesso che aves-
sero scoperto subito la scomparsa dello yacht, non era detto che la connettessero con
noi. Con l'aiuto del vento di terra, ci allontanammo presto dalla riva.
«Dove avete detto che siamo diretti?» chiese Regelin.
«A Duluth se i bombardamenti non hanno reso impraticabile la navigazione sul
Saint Laurent. Non v'è certamente molto traffico sul lago, e non dobbiamo preoccu-
parci del carburante.»
Feci il primo turno di guardia, Kitty e Alice occuparono l'unica cuccetta dello
yacht . Regelin s'arrotolò in una coperta. S'addormentarono subito. La gravità terre-
stre doveva stancare Regelin più di quanto lui volesse ammettere. Restai al timone
per circa due ore. Poi sentii la porta della cabina aprirsi, Kitty ne uscì, senza fare ru-
more, e venne a sedersi accanto a me.
Lei guardò il cielo, dove si disegnavano l'Orsa Maggiore e le altre costellazioni, fra
le quali la Via Lattea somigliava a un pallido fiume che scorresse fra gli astri.
«Mi chiedo» mormorò «da quale punto dello spazio sono venuti.»
«Chi lo sa? L'universo è immenso.»
«Immenso e gelido.»
Rabbrividii. Le passai un braccio intorno alla vita.
«Non ho paura per me» mi sussurrò lei, con la voce di una bambina addolorata da
un dispiacere che gli altri non comprendono. «Ho venduto troppe cose terribili, da un
anno a oggi, per avere ancora paura di ciò che potrebbe succedermi. Ma c'è Alice! Ho
soltanto lei& »
«Nemmeno io sono un eroe, Kitty. Siamo stati cacciati a forza in questa avventu-
ra& Noi vogliamo salvare la Terra, è vero, ma vogliamo prima di tutto salvare la pel-
le. In tutta questa storia, l'unico vero altruista è Regelin& »
«Lui è magnifico!» Disse. «Non avrei mai creduto che i marziani potessero essere
così gentili e generosi. E dire che quei mostri ci hanno spinti gli uni contro gli altri, ci
hanno costretti a distruggerci a vicenda!» La sua voce vibrava per la collera.
«Forse lo fanno, anche loro, per le loro donne e per i loro bambini» risposi. «La
guerra è sempre stata una cosa terribile.»
Lei mi diede una lunga occhiata. Sembrava stupita. «Ma non siete proprio capace
di odiare?» mi domandò.
«Si ma preferisco non farlo» risposi. «Lassù nello spazio, un uomo è portato a
guardare in se stesso. Ho meditato molto, e quando si medita molto, le cose non ap-
paiono più così semplici come si desidererebbe che fossero.»
«Dave, se per un miracolo riuscissimo a vincere nella lotta contro quei mostri, che
cosa succederebbe?»
«Non lo so. Suppongo che Marte allevierebbe sensibilmente le condizioni di pace
che ci sono state imposte. Credo che i marziani ci lascerebbero liberi di ricostruire la
nostra vita a modo nostro. E può anche darsi che, fra qualche anno, si crei una unione
interplanetaria simile all'unione dei popoli che è stata fatta sul nostro pianeta. Lo spe-
ro, almeno.»
«E voi& che cosa fareste, voi?»
«Non ne ho la minima idea, adesso. Mi lancerei, forse, nel mondo degli affari. O
forse tenterei di diventare scrittore. Mi piacerebbe pubblicare il frutto delle mie rifles-
sioni, tutti i miei ricordi d'astronauta.»
«Non vorreste farvi una famiglia?»
Risi. «Ho si. Voi la formereste, con me?»
«Credo che& » si interruppe, tacque per qualche secondo, poi riprese con voce len-
ta e dolce: «Penso che ne sarei felice.»
Mi sentii così commosso che per un pelo non lascia andare il timone.
Non riferirò i particolari di quel viaggio, che fu, nella pericolosa situazione in cui
ci trovavamo, una parentesi tranquilla. Il sole, la pioggia, il vento, i verdi boschi delle
rive, la solitudine che ci circondava e ci separava come un muro dal resto del mondo,
tutti ci dava un'effimera sensazione di sicurezza.
Avevamo dovuto metterci a razione, poiché i nostri viveri erano tutt'altro che ine-
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